La Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza segna un cambio di rotta delle tendenze macroeconomiche e degli obiettivi di finanza pubblica per il 2023-2026, ma cosa comporta?
Nei giorni scorsi con la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) approvato in primavera, il governo ha rivisto tendenze macroeconomiche e obiettivi di finanza pubblica per il periodo 2023-2026. La più importante novità è un maggiore deficit di bilancio, concentrato soprattutto nel 2024, e di conseguenza una riduzione del debito pubblico tra il 2022 e il 2026 molto meno ambiziosa: invece di calare di 4 punti in rapporto al PIL (come previsto nel DEF), calerebbe di 2,1 punti. L’obiettivo dichiarato è stimolare la crescita economica nell’immediato, per poi tornare su un sentiero di correzione dei conti dal 2026. Coerentemente, qualche giorno fa il governo ha ottenuto dal Parlamento l’autorizzazione a finanziare la prossima manovra con maggiore deficit e si appresta a presentare i provvedimenti di attuazione, a partire dalla legge di bilancio 2024.
I mercati non stanno reagendo molto bene a questo “cambio di rotta” nella politica fiscale italiana, come testimonia la crescita dello spread tra tassi di interesse dei Titoli di Stato italiani e tedeschi. Perché? Forse perché chi investe nel debito pubblico italiano pensa che il governo stia rischiando troppo. O peggio che la manovra 2024 sia il frutto di un compromesso che ipoteca la linea dell’equilibrio dei conti pubblici fin qui sostanzialmente perseguita, interpretata autorevolmente dal Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Ma cosa si rischia con questo cambio di rotta?
Primo, il governo riduce (forse esaurisce) il suo spazio di manovra. Quindi, nel caso di un peggioramento della situazione economica e politica internazionale, si troverà a non poter reagire efficacemente per salvare l’economia italiana da una crisi profonda, avendo già speso per priorità (es. riforma fiscale) che potrebbero e dovrebbero essere realizzate senza ricorrere a maggiore deficit.
Secondo, posticipare al 2026 la correzione dei conti pubblici alimenta il rischio del “baratro fiscale”, ossia la necessità di attuare un’ampia correzione dei conti pubblici in fretta: una cosa politicamente impraticabile. Infatti, dal 2026 verrà progressivamente meno l’effetto espansivo del PNRR e, l’anno successivo, ci saranno le elezioni politiche, che rendono poco verosimili manovre di aggiustamento dei conti pubblici nel 2026-2027 (nonostante le nuove regole fiscali europee). Infine, la Banca centrale europea sta riducendo l’acquisto di titoli di Stato. Aumenta, di conseguenza, il ricorso agli investitori privati.
L’importanza della stabilità finanziaria
La finanza pubblica italiana da molti decenni presenta ai governi e ai cittadini soltanto percorsi stretti e accidentati a causa del nostro enorme debito pubblico. Le soluzioni miracolo dei populismi europei si sono dimostrate fallimentari (basti pensare al suicidio fiscale che ha portato alla fine del governo britannico di Liz Truss in soli quarantacinque giorni nell’autunno dello scorso anno). In questo contesto, le politiche fiscali contano più per segnalare la credibilità del governo a investitori e istituzioni europee (che si traduce in minore spread e minori oneri per cittadini e imprese), rispetto a qualche decimale di spesa in più o minori imposte, che hanno effetti marginali sui problemi economici strutturali del paese. L’Italia ha sperimentato in passato (es. 1992 e 2011) pericolosi avvicinamenti al baratro fiscale e finanziario, l’uscita da quelle situazioni fu dolorosa. In un contesto economico complesso, la stabilità finanziaria è cruciale per affrontare sfide future e sostenere la ripresa economica a lungo termine.